Storia di Santa Lucia

Santa Lucia
 
Santa Lucia

In occasione della Festa di Santa Lucia, il 13 dicembre, a Soveria Simeri, si rinnova da decenni un fenomeno che rivela un intreccio singolare, se non unico, di tradizione, devozione popolare ed abilità artigianale. La ricorrenza liturgica della Santa, Vergine e Martire, di Siracusa, non viene infatti celebrata semplicemente nelle forme “canoniche”, che si manifestano nella Santa Messa e nella processione solenne lungo le vie cittadine, ma anche attraverso uno spettacolo intensamente vissuto dalla popolazione, che costituisce patrimonio esclusivo  e peculiarità del nostro paese. Questa parte ha lo scopo di far conoscere le caratteristiche di questo tradizionale appuntamento e di spiegare, tra l’altro, modalità e significato simbolico del tradizionale “volo” dei palloni aerostatici. Tale spiegazione si avvale, ovviamente, degli indispensabili riferimenti storici alla vicenda umana della Santa. In collaborazione con il Parroco Don Andrea Bruno, al quale va il nostro deferente ossequio e ringraziamento, ed in unità di intenti con l’Associazione Pro-loco di Soveria Simeri, abbiamo raccolto le informazioni necessarie ad una ricostruzione il più possibile esauriente e precisa. Va fatta però un’importante avvertenza: neppure la più brillante delle esposizioni varrebbe a sostituire la partecipazione diretta alla “nostra” Festa di Santa Lucia, nei suoi vari e suggestivi momenti.

Il “volo” dei palloni aerostatici.

Ebbe origine parecchi decenni fa, ad opera di un funzionario postale, Vincenzo Sacco, il quale, in adempimento di un voto formulato per la figlia Lucia, acquistò la statua che ancora oggi si venera nella relativa Cappella posta nella Chiesa Matrice di Soveria Simeri e diede impulso alla pratica dei palloni aerostatici. Questi venivano innalzati in aria per simboleggiare l’elevarsi in cielo dell’anima eletta di Santa Lucia, glorificata dal martirio. Il confezionamento dei palloni è avvenuto per molti anni ad opera di Tranquillo Dantinelli, il quale si è dedicato ad essa fino all’età di sessant’anni. Da circa un decennio la realizzazione di essi, ai fini del mantenimento dell’importante tradizione, fortemente sostenuta dalla popolazione e dal Parroco Don Andrea Bruno, è affidato alle abili mani di Donato Del Fabbro. E’ tale la devozione della cittadinanza, che si verifica puntualmente una vera e propria “gara” per aggiudicarsi uno dei palloni. Infatti, prima ancora di essere realizzati, i palloni sono già “prenotati” dai devoti attraverso offerte in denaro. Il tradizionale “volo” dei palloni aerostatici si svolge nella Piazza Garibaldi dopo la processione. Precisiamo che si tratta di vere e proprie mongolfiere fatte di carta velina vivacemente colorata, con alla base un supporto di materiale incendiabile. Una volta appiccato il fuoco in fondo all’involucro, questo viene trattenuto al suolo affinché si riempia d’aria. Al momento opportuno, il pallone viene lasciato libero di sollevarsi in alto e di raggiungere velocemente una certa altezza. Il “volo” dura finché si consuma la fiamma, cioè finché il pallone, sgonfiandosi, precipita nuovamente al suolo, anche a notevole distanza dal luogo di partenza. La traiettoria viene seguita con attenzione dai partecipanti allo spettacolo, che l’accompagnano sin dall’innalzamento con scroscianti applausi.

Santa Lucia: la Vergine e Martire siracusana nella storia.

La prima e fondamentale testimonianza sull’esistenza di Lucia è contenuta in un’iscrizione greca scoperta nel giugno del 1894 dal professor Paolo Orsi nella catacomba di San Giovanni, la più importante di Siracusa (cosiddetta epigrafe di Euschia). L’unica fonte antica, da cui attingere notizie, è una Passio (Passione), redatta sia in greco che in latino tra il quinto e sesto secolo. Lo stesso San Tommaso d’Aquino la citò due volte nella sua Summa Theologica”. Le notizie riportante in questa Passione concordano con le memorie che di questa Santa ci hanno lasciato Papa Gregorio Magno (590 – 604) nei suoi libri Sacramentario ed Antifonario e Sant’Adelmo  (VII secolo) nel suo poema De Laudibus Virginum. Lucia nacque a Siracusa nel quartiere dell’Ortigia, tra il 280 ed il 290 d.C., da ricca e nobile famiglia. Il padre, del quale si ignora il nome, era di stirpe latina, mentre la madre, Eutichia, era greca. Il padre morì quando Lucia era bambina e toccò quindi ad Eutichia provvedere all’educazione dell’unica figlia, che si dimostrò sempre docile agli insegnamenti materni, specialmente per quanto riguardava l’apprendimento delle verità della religione cristiana. Giovanissima, si offri a Gesù Cristo facendo voto di perpetua verginità. In un romanzo storico di Renè du Mesnil de Maricourt, si legge un colloquio tra uno schiavo a servizio in casa di Lucia, Pollione, ed il tribuno Valerio. Particolarmente significativo è il seguente brano: “O tribuno, io benedico la mia schiavitù che mi permette di servire una persona così degna di venerazione. Nulla può paragonarsi all’ineffabile bontà del suo cuore. Ella non ha che quattordici anni, ma tutti sono stupiti della precoce intelligenza che si rivela in lei.  Vive ritirata con sua madre e le sue serve. Non suole comparire nelle riunioni numerose, ma quando la si vede, nelle prime ore del mattino, uscire di casa con la testa velata ed avvolta nella lunga stola bianca seguita dalla sua ancella, si può essere sicuri che si dirige verso qualche luogo dove c’è una miseria da sollevare o una ferita da guarire.” Il tribuno Valerio osservava già da qualche tempo Lucia senza essere visto e di lì a poco si presentò in casa di Eutichia per chiedere la mano della fanciulla. Ignara del voto di verginità fatto dalla figlia, la matrona rispose di sì al tribuno e lo invitò a ritornare dopo due giorni con i testimoni che avrebbero dovuto assistere al fidanzamento. Valerio era un patrizio romano dell’antica gens Valeria, la cui nobiltà risaliva ai tempi della Repubblica. Egli era assai ricco e viveva a Siracusa dove comandava con cinque colleghi la legione romana che vi stazionava. Sorpresa dall’inatteso annuncio, Lucia si limitò ad obiettare come potesse lei cristiana unirsi in matrimonio con un giovane pagano. Eutichia rispose che una cristiana può sposare un pagano, perché la Chiesa lo consente. L’apostolo Paolo, nella prima lettera ai Corinzi, dice infatti che il marito non credente è santificato nella moglie credente e viceversa. Lucia non osò contraddire la madre né confidarle il segreto del suo voto. Il giorno stabilito, Valerio giunse in casa di Lucia con i due amici che dovevano fungere da testimoni e si svolse la cerimonia di fidanzamento. Nel febbraio del 301 d.C., Lucia ed Eutichia si recarono in pellegrinaggio a Catania al tempio di Sant’Agata per chiedere la guarigione di una fastidiosa malattia emorragica da cui era affetta la madre. Terminata la celebrazione eucaristica, Eutichia si accostò fiduciosamente al sepolcro di Sant’Agata con la figlia. Mentre pregavano, Lucia fu colta da un profondo sonno e vide in sogno Sant’Agata, ornata di splendide vesti e circondata dagli Angeli, che le annunciò la guarigione della madre e le disse che, come attraverso lei Gesù Cristo aveva reso celebre la città di Catania, così avrebbe fatto con la Città di Siracusa. Dopo quelle parole, Lucia si risvegliò e constatò che la madre era guarita. Il grande amore di Lucia per i poveri l’aveva spinta a chiedere a sua madre la dote stabilita per le nozze, poiché desiderava soccorrere i siracusani che vivevano nell’indigenza. Eutichia, dopo qualche perplessità iniziale, acconsentì. Le due donne cominciarono quindi a distribuire ai bisognosi. Era questo un fatto mai visto nella ricca città di Siracusa, dove le case dei nobili patrizi gareggiavano nel lusso e nello sperpero.  La beneficenza era sconosciuta. Il mormorio sullo straordinario movimento di persone che ruotavano intorno alla casa di Eutichia giunse alle orecchie del fidanzato di Lucia, che andò di persona a rendersi conto di quanto accadeva. Trovò le due donne radunate in preghiera con un gruppo di servi. Poco prima si era parlato del quarto editto di persecuzione emanato dall’imperatore Diocleziano e divulgato in tutto l’Impero. A Siracusa l’Editto era stato accolto con perfida soddisfazione dal feroce Pascasio, il Prefetto locale, il quale,  perseguitando con zelo i Cristiani, sperava  di ottenere i favori degli Imperatori Diocleziano e Massimiano. Quando Lucia si trovò inaspettatamente di fronte al suo fidanzato, lo trattò molto freddamente ed alle sue sollecitazioni riguardo alle nozze rispose esortandolo ad andarsene via, essendo ella già sposata con Gesù Cristo. Il tribuno andò via amareggiato e decise di vendicarsi dell’umiliazione subita. Si recò quindi da Pascasio ed accusò Lucia e sua madre di essere seguaci di Gesù Cristo. Il Prefetto iscrisse subito le due donne nell’elenco dei cristiani da arrestare e giudicare. I soldati romani avevano già fatto diverse incursioni nelle Latomie (catacombe di Siracusa), dove i cristiani si radunavano per la celebrazione dei Divini Misteri. Già molti fedeli erano stati arrestati, tra cui il Vescovo della città con alcuni sacerdoti e diaconi. Va precisato, infatti che, all’epoca delle persecuzioni di Diocleziano la Chiesa siracusana era già costituita in gerarchia e contava numerosi fedeli. Lucia fu dunque arrestata e condotta alla presenza del Prefetto. Questi, che già conosceva la fama della fanciulla, se ne invaghì e tentò con ogni mezzo di distoglierla dalla fede cristiana e di indurla a sacrificare agli Dei. Lucia rifiutò e Pascasio, ritenutosi umiliato davanti alla corte, ordinò ai lenoni di portarla via e di condurla nei luoghi dove si esercitava la prostituzione. Ma prodigiosamente lo Spirito Santo la rese immobile e nessuno poté spostarla dal luogo dove si trovava, nemmeno i soldati che, legatala con funi alle mani ed ai piedi, la tiravano da ogni parte. Siccome la pena fissata dagli Editti imperiali per i bestemmiatori degli dei e per i maghi era il supplizio del fuoco, Pascasio, che riteneva Lucia una maga, la condannò al rogo. Ma ella disse al suo aguzzino: “Io pregherò il Signore nostro Gesù Cristo che questo fuoco non s’impadronisca di me. Dimostrerò che, avendo fede nella Croce di Cristo, ho impetrato un prolungamento della mia lotta, così farò vedere a te ed ai credenti in Cristo la potenza del martirio, ed ai non credenti toglierò l’accecamento dell’orgoglio”. Allora il Prefetto furibondo ordinò che fosse acceso un gran fuoco intorno a Lucia e che fosse alimentato da legna di teda (pino selvatico molto resinoso), pece ed olio in gran quantità, affinché il corpo venisse consumato il più presto possibile. Si verificò allora un nuovo, straordinario prodigio: le fiamme che l’avvolgevano da ogni parte la lasciarono illesa.

Il martirio.

A quel punto Lucia, sentendo che la fine era prossima, si rivolse al pubblico e disse: “Ecco, io predico a voi che sarà data la pace alla Chiesa di Cristo. Diocleziano e Massimiano cadranno dal trono imperiale e, come la città di Catania ha in venerazione Sant’Agata, così voi onorerete me per grazia del Signore nostro Gesù Cristo, osservando di cuore i suoi comandamenti”. Pascasio, sempre più furibondo, ordinò che fosse sgozzata. In esecuzione dell’ordine, un soldato le si avvicinò e le trafisse la gola con un pugnale. Era il 13 dicembre dell’anno 304 d. C. In quello stesso giorno, a Nicomedia, l’imperatore Diocleziano, che si vantava di aver abolito il cristianesimo, fu colto da grave malore. Nel 305 Diocleziano abdicò, costringendo l’altro Augusto, Massimiano, a fare altrettanto. Seguirono lotte e disordini fino a quando Costantino, eliminati i rivali, riunì l’Impero nelle sue mani. Lo stesso Costantino nel 312 d.C. emanò da Milano l’Editto che concedeva definitivamente ai Cristiani la libertà di culto, ponendo così fine alle persecuzioni.

Culto di Santa Lucia.

Negli “Atti” greci, noti anche come Codice Papadopulo, il racconto del martirio di Santa Lucia termina così: “Nello stesso luogo dove rese lo spirito edificarono a lei un tempio, nel quale i fedeli accorrono alle reliquie, ottenendo per sua intercessione grazie e guarigioni dalle malattie.” Un Editto imperiale dell’anno 290 d.C. concedeva ai cristiani di assistere alla morte dei fratelli e delle sorelle di fede e di dar loro onorata sepoltura. Così, dopo la morte di Lucia, il suo corpo fu sepolto in un sarcofago all’ingresso delle catacombe di Acradina., Fino a quando il corpo sia rimasto nel suo sepolcro non si sa. Non si sa neppure con precisione dove oggi si trovino le sue reliquie, perché due tradizioni differenti e contrastanti le indicano in luoghi diversi e nessuna delle due è storicamente ineccepibile.

Reliquie: la prima tradizione.

Come scrisse Agostino Amore nella Bibliotheca Sanctorum, la prima una relazione del decimo secolo, inserita da Sigeberto di Gembloux (m. 1112) nella biografia del vescovo Teodorico di Metz (m. 984), dove si narra che il Vescovo, venendo in Italia con l’imperatore Ottone, si portò via molte reliquie di Santi, che erano allora a Corfinium (Pentima), in Abruzzo. Il fatto della traslazione a Metz di reliquie di Santa Lucia, vere o presunte, è attestato anche negli Annali della città (anno 970). Lo stesso Sigeberto riferisce che il Vescovo Teodorico, nel 972, innalzò un altare in onore di Santa Lucia e che nel 1042 un braccio della martire fu donato al Monastero di Luitbourg.

Reliquie: la seconda tradizione.

La seconda tradizione, più comune e forse anche più attendibile, è attestata da Leone Morsicano (m. 1115) e dal cronista veneziano Andrea Dandolo (m. 1354). Essa dice che da Siracusa le reliquie di Santa Lucia furono trasferite a Costantinopoli dal generale greco Giorgio Maniace per sottrarle al furore devastatore dei Saraceni. Quando poi nel 1204 la città fu conquistata dai Crociati, sarebbero state da questi trasportate a Venezia e collocate nel Monastero di san Giorgio. Nel 1280 il corpo di Santa Lucia sarebbe stato trasferito dal Monastero di San Giorgio ad una Chiesa dedicata alla Santa (eccetto un braccio che sarebbe rimasto in San Giorgio), ma nel 1860 Pio IX l’avrebbe fatto trasferire nella Chiesa dei santi Geremia e Lucia, dove si venera ancor oggi. Giustamente, nel corso degli anni, i Siracusani hanno fatto vari tentativi per riavere le reliquie, ma i Veneziani non hanno voluto concederle.

Culto di Santa Lucia.

Il più antico ed autentico documento del culto tributato a Santa Lucia è l’epigrafe di Euschia o Ombrosa, da cui si deduce che, già alla fine del quarto secolo o all’inizio del quinto, si nutriva una forte devozione per Santa Lucia, il cui anniversario era già commemorato da una festa liturgica. Secondo il Breviario Gallo-Siculo, nell’anno 313, presso il sito dove fu sepolta Santa Lucia, i Siracusani le edificarono un tempio. All’inizio del sesto secolo, sotto il pontificato di San Gregorio Magno, al tempio fu annesso un Monastero dei Benedettini, l’ordine cui apparteneva il Pontefice. Qui crebbe San Zosimo, che fin da fanciullo ebbe in custodia il corpo della Martire, di cui era devotissimo. Costui diventò abate del Monastero e, nel 643, fu consacrato vescovo di Siracusa. Ma il culto di Santa Lucia varcò ben presto i confini della Sicilia. Intorno all’anno 384 Sant’Orso, Vescovo di Ravenna, le dedicò una Chiesa e Papa Gregorio Magno, nel secolo sesto, fece costruire nella Basilica di san Pietro una Cappella in suo onore. Inoltre lo stesso Pontefice nei suoi Dialoghi parla di un Monastero dedicato a Santa Lucia, in Roma. Nel settimo secolo, papa Onorio I le consacrò una Chiesa, oggi conosciuta col titolo di Santa Lucia in Selce.

L’iconografia.

Santa Lucia è invocata come protettrice della vista (il nome stesso significa “luce”). L’iconografia ce la presenta sovente con la palma del martirio nella mano destra e con un piatto contenente un paio di bulbi oculari, sorretto dalla mano sinistra. Secondo la leggenda, il prefetto Pascasio si sarebbe invaghito di Lucia soprattutto per lo splendore degli occhi. Ma, al fine di stroncare la passione del suo persecutore, la giovane si sarebbe strappati gli occhi e glieli avrebbe inviati dentro un piatto d’argento. Questo episodio non si legge nella Passione della Martire, ma probabilmente è stato inserito più tardi nel racconto della sua vita.

Lucia nel Canone Romano.

Papa Gregorio Magno (590 – 604), nei suoi libri Antifonario e Sacramentario scrisse l’Ufficio Divino da recitarsi e la Santa Messa da celebrarsi in tutta la Chiesa nel giorno della Festa di Santa Lucia, il 13 dicembre. Decretò inoltre che il nome della Martire siracusana fosse inserito insieme a quelli di altre sei donne Martiri, tra cui Sant’Agata di Catania, nel Canone Romano (Preghiera Eucaristica della Messa). Sempre nel secolo sesto, nota Agostino Amore, “il nome di Lucia fu introdotto nel Canone di Milano e Ravenna ed in quest’ultima città la sua immagine fu inserita nella Teoria delle Vergini del grandioso mosaico di Sant’Apollinare Nuovo”. Il più antico Sacramentario contenente la Festa di Santa Lucia è il Gregoriano, mentre più tardi si trova anche nel Sacramentario Gelasiano di S. Gallo, del settimo secolo. Di questo secolo è pure l’Ufficio Divino composto da San Giovanni Damasceno e adottato dalla Chiesa greca, che commemora anch’essa Santa Lucia il 13 Dicembre. Inoltre, in Inghilterra, nel settimo secolo, sant’Adelmo scrisse in versi e in prosa la vita della santa martire siracusana.

Come i siracusani venerano Santa Lucia.

Nella Cattedrale di Siracusa è situata una maestosa cappella dedicata alla Patrona della città. La maestosa statua di Santa Lucia, in lamina d’argento sbalzato, che in essa si venera, è opera dell’artista palermitano Pietro Rizzo, che la realizzò nel 1616. Oltre alla commemorazione del suo martirio, il 13 dicembre, ogni anno, nella prima domenica di maggio, si celebra a Siracusa pure la festa del suo patrocinio. Questa festa, detta popolarmente “delle quaglie”, fu istituita dal Vescovo monsignor Francesco Elia e dal Senato di Siracusa, in seguito ad un prodigioso intervento della Santa, che liberò la città dal pericolo della morte per fame. Nel “Manoscritto sulla Chiesa siracusana” il canonico De Michele racconta che nell’anno 1646 i Siracusani soffrivano a causa di una straordinaria carestia. Allora il Vescovo, dopo aver distribuito ai poveri tutti i cereali disponibili, fece esporre la statua e le reliquie di Santa Lucia nella Cattedrale ed indisse per il 6 maggio una cerimonia di preghiera pubblica. La mattina del giorno 13 si celebrò una Messa Solenne e, mentre il popolo invocava con fervore la Santa Patrona, si vide volare una colomba che si posò sul trono vescovile tra lo stupore generale. In quello stesso momento si udì una voce che annunciava l’arrivo di una nave carica di grano. La città fu così salvata dal flagello della fame. A ricordo del prodigioso avvenimento, durante la processione della Festa del Patrocinio, al passaggio della Statua della Santa, si liberano in volo delle colombe e delle quaglie. Di qui il nome di “Festa delle quaglie”.
 
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